Ho acquistato un ottimo libretto intitolato Dizionario delle balle dei politici e degli antipolitici, ovvero come difendersi dalle favolette e capire come statto veramente le cose, scritto da un giornalista del blog il Post, Davide Maria De Luca, il quale focalizza, per sommi capi, l'attenzione su tutti gl'argomento d'attualità della politica italiana, attraverso un rigoroso metodo di fact checking (quindi avvalendosi del supporto d'esperti d'ogni settore in cui s'è addentrato): dal fiscal compact alla questione degl'F35; dal bilancio truccato della Grecia al decreto Bankitalia. Ora scalderò un po' gli animi... Mi soffermo sull'argomento più spinoso: quello del fiscal compact.

NON è vero, come sostengon i cosiddetti euro-scettici, che l'Italia è chiamata ad una politica di rigore basata su una riduzione della spesa pubblica da 50 miliardi di euro ogni anno. Questo scellerato patto finanziario, da quello che ho capito, prevede fondamentalmente che si rispettino due vincoli: 1) il mantenimento del deficit strutturale sotto la soglia dello 0,5% del pil; 2) la riduzione annuale del rapporto fra debito e pil (debito/pil) di un ventesimo della differenza fra il debito attuale (nel nostro caso, circa il 135% del pil) e quello finale (stabilito nella percentuale del 60% sul pil). Da dove sbucan fuori quei 50 miliardi? Semplicemente, facendo la differenza fra debito attuale e quello finale, cioè 135% - 60% = 75%; dividendone il risultato per 20, cioè 75%/20 = 3,75%; esprimendone la percentuale così ottenuta in valore assoluto: circa 75 miliardi di euro, in considerazione del fatto che il debito pubblico è sui 2100 miliardi di euro. Tuttavia, perché il rapporto debito/pil risenta d'una riduzione, non occorre agire per forza sul numeratore: nel nostro caso, basta che il pil aumenti in termini nominali (cioè al lordo dell'inflazione), secondo le stime del governo, di circa il 2,5% ogni anno. La BCE si sta adoperando affinché il tasso d'inflazione nell'euro-zona raggiunga il 2% annualmente, ed in tal maniera all'Italia potrebbe bastar un incremento del pil reale d'uno 0,5% all'anno (nel caso peggiore anche dell'1%, l'1,5%).

Per fissare le idee, se debito e pil s'equivalgono, allora il debito corrisponde al 100% del pil; se poi il pil raddoppia, il rapporto si dimezza, attestandosi al 50%. A titolo esemplificativo, supponendo di partire da un debito di 100 euro corrispondente al pil in ragione del 120%, se si vuol far sì che il debito raggiunga il 20% soggiacendo ai vincoli del patto finanziario, si vede subito che nell'arco del primo anno il rapporto deve calar d'un 5%: (120% - 20%)/20 = 5%. Sotto l'ipotesi di voler operare esclusivamente sul denominatore, l'equazione da esaminare ha suppergiù queste fattezze:

                                                                                                                                                         (debito_attuale/pil_nominale)*(1 - (debito_attuale - debito_finale)/20) = debito_attuale/(pil_nominale + X),

dove X è l'incognita corrispondente all'incremento cui dev'esser soggetto il pil nel primo anno. Nell'esempio in questione, sostituendo alle varie grandezze i rispettivi valori, s'ottiene

(120%/100%)*(100% - 5%) = 120%/(100% + X) => (1,2/1)*(1 - 0,05) = 1,2/(1 + X) => 1,2*0,95 = 1,14 =

                                                                                       = 1,2/(1+X).

Esplicitando l'incognita,

                                                                      X = 1,2/1,14 - 1 ~ 0,052 = 5,2% nominali.

Se nel primo anno la riduzione del rapporto è del 5%, significa che da 1,2 si riduce a 1,15, cioè al 115% del pil. Dunque, nel secondo anno va assotigliandosi pure la ventesima parte della differenza fra debito attuale e quello finale: (115% - 20%)/20 = 4,75%. E così via. Di anno in anno, tirando le somme, si prospetterebbero vincoli sempre meno stringenti.

Cosa succede, però, se non si rispettano tali tremende imposizioni, come ogni prodromo lascerebbe intuire? NON son previste sanzioni automatiche: prima d'elevar una qualsivoglia ammenda al paese inadempiente, il trattato stabilisce che s'han da prender in esame tutta una trafila di aspetti non trascurabili: l'ammontare dei contributi ai vari fondi europei (l'efsf, l'esm, ecc...), catalogabili come SPESA IN CONTO CAPITALE, non già come SPESA CORRENTE (capire la differenza fra l'una voce e l'altra è fondamentale: la spesa corrente è l'uscita a cui lo Stato deve far fronte ogni anno, ed ha quindi la prerogativa d'esser strutturale; quella in conto capitale è considerabile come un investimento, un'uscita congiunturale che prima o poi torna indietro); il bilancio pubblico; la sostenibilità del sistema pensionistico, di quello sanitario, et cetera. L'organo di vigilanza che esamina questi aspetti è la Commissione Europea, mentre quello adibito all'imposizione d'un'eventuale penalizzazione in forma di multe è il Consiglio dell'Unione Europea, istituzione composto dai capi di governo dei paese dell'UE (Stati quali la Grecia, la Spagna, il Portogallo difficilmente voterebbero a favore d'una soluzione punitiva per chi si trova nella loro stessa claudicante barca!). Ad ogni modo, tali vincoli non son stati rispettati molteplici volte da molti paesi membri, senza mai incappare in alcuna sanzione pecuniaria.

 

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