Il mancato premio Nobel Renato Brunetta, cari viados, tempo addietro se ne venne fuori con un trittico di bordate mendaci inducenti a pensar che sia più alto che intelligente, malgrado abbia addotto a vanto personale il fatto d'aver amici insigniti del prestigioso riconoscimento e d'esser più acuto di loro, anche se - parole sue - non di molto... Diciamo una mezza sega in più, e non se ne parli più! D'accordo? Bene. Elenchiamole e confutiamole!
Quando s'è soliti usar i trampoli, capita che si faccian dei voli pindarici. Ed infatti...
1) In riferimento al gettito delle rendite finanziarie, pari a 13 miliardi di euro e calcolato in ragione del 20% sull'imponibile, aveva fatto capolino dalla sua tana sostenendo che, aumentandone l'aliquota del 6%, il rispettivo surplus sarebbe valso solo 780 milioni, non già 2,6 miliardi come sostenuto dai ministri renziani. Perché trattavasi d'una corbelleria? Semplice: l'aspirante Nobel s'era ricavato il 6% di 13 miliardi, risultante effettivamente pari a 780 milioni, invece di calcolarlo sull'imponibile! Ora, facendo una botta di conti molto approssimativi, moltiplicando per 5 il gettito, si risale all'entità delle rendite: 65 miliardi, il cui 6% corrisponde a 3,9 miliardi. Dunque, quei 2,6 miliardi, così ad occhio e croce, immagino sian il risultato di stime prudenziali.
Che fosse in provocatoria malafede, l'energumeno tascabile (D'Alema docet)? Supponiamo di sì e veniamo alla seconda fregnaccia...
2) Sul versante dello spread, l'aveva sparata più grossa. Lo spread, nel nostro caso, è la differenza del rendimento dei titoli italiani rispetto a quelli tedeschi. Nell'estate del 2011, come tutti sanno, era balzato alla vertiginosa quota dei 600 punti (un 6% di rendimento in più rispetto ai bund tedeschi). Secondo il nostro luminare dell'economia, 600 punti sarebbero equivalsi ad un onere di circa 5 miliardi di euro all'anno a carico di noi italiani, ragion per cui - diceva - tutto quest'allarmismo era fuori luogo nonché figlio d'un complotto della troika atto a far sbalzar di sella re Silvio I dal suo trono. Per ricavarsi quel dato, aveva banalmente moltiplicato l'ammontare degl'interessi sui titoili di debito pubblico (un'ottantina di miliardi di euro annuali) per quei 600 punti (80 x 6% = 4,8).
Nulla di più fallace, tant'è che il calo di 300 punti avvenuto negl'anni successivi (2012 e 2013) s'era tradotto in un risparmio d'una trentina di miliardi di euro. Rifacendomi ai conti di Michele Boldrin, per capirne la ragione si deve tener conto dell'importo, su base annuale, dei titoli di nuova emissione (Bankitalia ne emette per circa 50 miliardi all'anno) e quelli che vengon rinnovati alla loro scadenza (per un valore di circa 300 miliardi all'anno): 300 punti di spread in meno in due anni, in termini di risparmio, significava tener conto del 3% dell'intero stock di titoli sottoscritti annualmente (350 miliardi), cioè, in valore assoluto, di 10,5 miliardi; cifra, quest'ultima, da moltiplicare per 3, perché gl'interessi sul debito emesso nel 2012 s'eran risparmiati anche l'anno seguente, e quindi il biennio di riferimento andava conteggiato tre volte portando dritti al risultato di 31,5 miliardi.
Che fosse anche qui in malafede? Supponiamo di sì e veniam alla terza fregnaccia...
3) Tertium datur, nell'aprile 2011 la Germania avrebbe tentato d'assestarci un feral fendente a tradimento a suon di vendite di titoli nostrani col risultato d'uno spread montante a livelli siderali. Se da un lato la privata Deutsche Bank s'era data alla dismissione di titoli italiani, dall'altra - come ben tenne a precisar un'ottima e confutatrice Giulia Innocenzi in quella celeberrima puntata di Annozero in cui re Silvio I ebbe l'ardir di presenziarne all'adunata comunista-commensalistica -, l'entità di tale operazione era risultata ben inferiore rispetto a quella decantata dal trovator Renè (http://www.lavoce.info/archives/5284/berlusconi-banche-tedesche/): a conti fatti, la complottarda banca teutonica se ne sbarazzò per un valore di circa 2,3 miliardi di euro, non già dei 7 miliardi e passa blaterati dal nostro (la Deutsche Bank, avendo acquisito PostBank, gruppo già detentore d'un cospicuo stock di nostri titoli, s'era attivata a che venisser immessi nel mercato secondario quelli in esubero).
Risultava altresì falsa la dichiarazione del suo sovrano, re Silvio I, secondo la quale Commerzbank si sarebbe liberata di "8-9 miliardi di euro di titoli del debito pubblico italiano negli stessi mesi o in un periodo immediatamente successivo": dalla tabella raggiungibile al link de lavoce, s'evince a chiare lettere di come, dal quarto trimestre 2010 al terzo dell'anno successivo, l'invasività dell'operazione fosse andata attestandosi sugli 1,8 miliardi.
Sempre in malafede? Supponiamo di sì e veniam all'ineluttabile, irrefragabile ed irremeabile conclusione...
Dulcis in fundo, appare evidente di come le bugie abbian le gambe corte, specie se profferite in malafede.
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