Ora come ora, con la rivalutazione di Bankitalia da 156mila a 7,5 miliardi di euro, le 300mila quote di partecipazione in cui ne è suddiviso il capitale nominale detenute da una sessantina fra banche private, assicurazioni, fondi pensionistici ed istituti previdenziali avran un valore di 25mila euro ciascuna (prima, a titolo d'esempio, Banca Carige le proprie quote le valutava 79.956 euro ciascuna; Monte dei Paschi di Siena 57.600 euro; Banca Marche 2.765 euro; Unicredit 4.311 euro): il valore per una singola quota è dato dal rapporto fra il valore del capitale ed il numero di quote totali (7,5 miliardi di euro/300mila quote = 25mila euro a quota). Nel 2001, sotto Tremonti, era stato concesso alle banche di rivalutare le proprie quote, e questo spiega la ragione per cui ci siano banche con quote già rivalutate.

Il cosiddetto capital gain, che è dato dalla loro rivalutazione, sarà soggetto ad un'imposizione fiscale del 26%: la base imponibile su cui applicare tale aliquota è data dalla differenza fra il valore della quota rivalutata e quello precedente la rivalutazione. E' come se si fossero trasferiti 7,5 miliardi di euro dalle riserve della Banca d'Italia al rispettivo capitale sociale (ecco perché tale operazione vien anche definita "aumento di capitale gratuito"): il patrimonio netto, dato dalla somma di riserve e capitale sociale, è rimasto invariato. L'importo massimo dei dividendi sarà al più pari al 6% del valore nominale rivalutato della Banca d'Italia, che in valore assoluto risulta complessivamente di 450 milioni di euro. Prima di questo provvedimento, ai detentori delle quote di capitale poteva spettare sino al 4% delle riserve ordinarie e straordinarie della Banca d'Italia, in cui vi si detengono la bellezza di 15 miliardi di euro: in linea teorica, quindi, ai partecipanti sarebbero potuti spettare in totale 600milioni di euro (quindi 150 milioni in più rispetto al massimo concesso dalle nuove leggi); tuttavia, di anno in anno l'entità dei dividendi ai percepitanti è sempre oscillata in un intervallo compreso fra i 50 ed i 70 milioni di euro (non oltre lo 0,5% delle riserve). Le percentuali vengon stabilite di volta in volta dal Consiglio Superiore, il Direttorio ed il Governatore, ma son generalmente molto inferiori al limite massimo.

Ogni partecipante non potrà detener più del 3% delle quote, per cui dovrà cederne la parte eccedente (allo stato attuale, invece, Intesa Sanpaolo e Unicredit ne posseggono in totale più del 50%: la prima ne detiene 91.035; la seconda 66.342). La Banca d'Italia, a tal proposito, può, in un primo momento, riacquistare temporaneamente suddette quote d'eccedenza; in un secondo tempo, rivenderle a nuovi partecipanti purché abbiano sede legale ed amministrazione centrale in Italia. I soldi dei contribuenti, in tutta questa faccenda, non c'entrano niente. E' inutile che si gridi alla svendita della Banca d'Italia, che è - meglio ricordarlo - un istituto di diritto pubblico dal 1936.

1) QUEI 7,5 MILIARDI DI EURO A CHI APPARTENGONO? Le entrate della Banca Centrale non appartengono allo Stato: la Banca d'Italia gode d'una propria autonomia, sebbene limitata. Se non ci fosse alcuna differenza fra Stato e Banca Centrale, allora dovrebbero, fra le altre cose, condividere lo stesso debito pubblico. Ciò non corrisponde al vero, perché dal 2006 al 2008, per esempio, il debito pubblico detenuto dalla Banca d'Italia era sceso - leggo - dal 3,97% al 3,52%, rispettivamente da 63 a 58 miliardi di euro in valore assoluto. L'attuale debito pubblico ha superato abbondantemente i 2mila miliardi di euro, di cui circa i 2/3 risultan nelle mani di privati, aziende e banche italiani: ciò significa che lo Stato è debitore nei di loro riguardi, Banca Centrale inclusa. L'utile da signoraggio la Banca lo matura richiedendo un tasso d'interesse sulle banconote prodotte (quell'interesse occorre alla Banca per far fronte ai vari costi che le si prospettano di anno in anno: manutenzione dei macchinari, costi di produzione, stipendi, interessi sui titoli, ecc...): leggendo in giro per il web s'apprende di come, ad esempio, l'utile lordo da signoraggio della Banca d'Italia fosse ammontato a circa 1,2 miliardi di euro nel 2006 (ad 1,688 miliardi nell'anno precedente). A valere sul fruttato lordo, il Consiglio Superiore aveva stabilito che venissero accantonati 396 milioni di euro per il fondo rischi generali a fronte delle imposte, che in quell'anno eran ammontate a 669 milioni di euro. L'utile netto corrispondeva, quindi, a 134 milioni di euro così ripartiti: circa 80 milioni allo Stato; 26,7 milioni alla riserva ordinaria; altrettanti in quella straordinaria. Ai partecipanti, secondo le leggi precedentemente vigenti, potevan esser distribuiti dividendi secondo i seguenti criteri: fino al 6% del valore nominale del capitale di Bankitalia, che allora valeva 156mila euro; un ulteriore 4%, a discrezione del Consiglio Superiore, sempre calcolato sul valore nominale della stessa; sino al 4% delle riserve. Gli utili netti eran - e credo lo sian tutt'ora - soggetti a questi vincoli di ripartizione: un 20% al fondo di riserva ordinaria; un'aggiuntiva e discrezionale percentuale massima del 20% alle riserve straordinarie; la parte restante allo Stato. Son, viceversa, dello Stato le cosiddette entrate, che in valore assoluto ammontano annualmente a svariate centinaia di miliardi di euro (nel 2008 eran di 740 miliardi di euro).

2) PERCHé IL GOVERNO HA CONCESSO AI PARTECIPANTI AL CAPITALE DI BANKITALIA LA RIVALUTAZIONE DELLE QUOTE? Per quanto riguarda la rivalutazione delle quote, il Governo s'è attivato in tal senso per recepire imposte calcolate sulle plusvalenze con un'aliquota, secondo le disposizioni dell'attuale Governo Renzi, del 26% (inizialmente doveva esser del 12%): al valore rivalutato della quota si sottrae quello precedente la rivalutazione, dopodiché ne si calcola sulla differenza l'imposta in ragione del 26%. Tale operazione serve come parziale copertura per il mancato gettito della seconda rata IMU sulle prime case, comportando un gettito di 900 milioni di euro allo Stato. Alla copertura concorreranno anche gli aumenti degli acconti irap ed ires sulle assicurazioni, gl'enti creditizi e finanziari (partecipanti al capitale della Banca d'Italia inclusi, dunque); per ricevere ulteriori entrate con l'applicazione di tasse sulle quote vendute, massimizzando l'entità del gettito fiscale sulle rispettive attività di compravendita.

3) SI TRATTA D'UN REGALO AI PARTECIPANTI? Stabilito che la fiscalità dei contribuenti non c'entra una beneamata mazza in tutta questa faccenda, il punto è che il valore delle quote era rimasto invariato dal 1936, anno in cui la Banca d'Italia era stata destituita del suo ruolo di società per azioni per divenire un vero e proprio istituto di diritto pubblico, qual è tutt'ora: il valore nominale della Banca d'Italia era stato stabilito in 300 milioni di lire, pari agl'odierni 156mila euro; dato che le quote in totale erano - e son tutt'ora - nel numero di 300mila, ogni singola quota valeva 0,52 euro. Già nel 2001, comunque, era stata concessa una rivalutazione delle quote al fine di tassarne le plusvalenze. Ora vien stabilito un tetto massimo del 3% di quote detenibili da ogni partecipante (prima, invece, Intesa e Unicredit ne possedevano assieme più del 50%) e l'obbligo di cederne la parte eccedente ad altri enti privati purché abbiano sede legale ed amministrazione centrale in Italia. I partecipanti, cioè i detentori delle quote di partecipazione al capitale sociale della Banca d'Italia, godon della spartizione dei dividendi calcolati sull'utile netto della stessa. La differenza è che il vincolo del 3% di quote ad ogni partecipante obbligherà lo stesso ad un'operazione di compravendita fra istituti privati, ed in tal modo banche, fondi, assicurazioni, istituti previdenziali (INAL, INPS) si ricapitalizzano.Tirando le somme, dal valore nominale della Banca d'Italia, rivalutato a 7,5 miliardi di euro, un singolo partecipante può ottenere annualmente un massimo teorico di 13,5 milioni di euro (7,5miliardi*0,06*0,03 = 13,5 milioni). Ciò è a discrezione del Consiglio Superiore, che di certo farà in modo che i dividendi ai partecipanti, che in totale SON nel numero di 60, continuino a variare complessivamente fra i 60 ed i 70 milioni di euro all'anno (NON più dello 0,5% delle riserve).


Download - partecipanti al capitale di Bankitalia

 

Comments powered by CComment